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Il corso di team building


di Claire1980
15.09.2024    |    2.452    |    11 9.5
"La cappella tozza riempie la mia bocca, un nodo in tensione che contiene tutto ciò che non viene detto..."
Il corso di team building, che tutti noi avevamo accettato con un senso di cinismo preconfezionato, non si sarebbe potuto svolgere in un luogo più grottesco, una specie di pastiche del romanticismo scandinavo con reminiscenze da caserma prussiana, una tenuta che pareva uscita dalle fantasie di un architetto convinto che l'età medievale fosse stata solo una puntata pilota per l'Impero Disney. Due giorni, niente meno, inclusi esercizi di gruppo dai titoli enigmatici come "Riflessioni stratificate" e "La delega empatica". Eppure, c'era la cena di gala a salvare le apparenze, un evento pubblicizzato in ogni e-mail aziendale come "la celebrazione". Non era chiaro di cosa.
Già dopo i primi discorsi sulle sinergie operative e sui network neuronali del business, mi resi conto che avevo perso la partita prima ancora che iniziasse. Però, con la cena che si avvicinava e la possibilità di far parte di un copione che nessuno aveva scritto, la sera non sembrava così male.

Il salone era una massa disarticolata di gente in abiti formali, con aggiunte di colore del tutto incidentali: una banda di musicisti, forse usciti da un sogno febbrile, suonava brani che sembravano il remix di generazioni perdute. Tra i volti anonimi, si distingueva una figura. Lei. No, non il tipo di figura che uno identifica con il "femminile" nella sua forma stereotipica, bensì qualcosa di indefinibile, una specie di magnetismo alieno che ti trascinava giù, nei meandri delle sue orbite oculari. Era il tipo di donna che ti faceva pensare di essere osservato non tanto da lei quanto da un’entità dietro di lei, un supervisore invisibile in qualche cabina di controllo lontana, la mano su una leva di feedback, pronto a tirarla giù al minimo cenno di interesse. In apparenza era una normale donna snella e carina sui 35-40 anni, ma c'era qualcosa in lei che mi incantava. Forse era il suo dolce sorriso. Forse il suo modo molto naturale di essere al centro dell'attenzione per tutti quelli che la circondavano o forse il costante sguardo civettuolo che lanciava a tutti gli ospiti maschi che incontravano il suo sguardo, me compreso

La cena scivolò via in un torpore da confino sociale, i colleghi si scambiavano commenti programmati da una scarsa comprensione delle dinamiche umane.
La band iniziò a suonare e, con un flusso simile a quello delle particelle in un esperimento sulla termodinamica, ci riversammo sulla pista da ballo. Non è che fossi un grande ballerino, ma l'intera serata era un movimento strano, carico di impulsi repressi e inviti impliciti. E lei, ovviamente, era lì, come previsto. Il vestito a fiori svolazzava attorno al suo corpo come se ogni nota musicale fosse in realtà un tentacolo invisibile che la tirava da tutte le direzioni. Avrei dovuto avvicinarmi, chiederle di ballare. Ma non ci fu bisogno.
Mentre ballo con una mia collega, è lei che improvvisamente irrompe nel ballo e annuncia che mi prende in prestito per un po'. Prima che me ne renda conto, stiamo ballando corpo a corpo in mezzo alla pista.
"Hai un bel modo di fissare, lo sai? Come se stessi cercando di decifrare un enigma.", dice.
"Forse lo sei. O forse è solo difficile non guardarti."
“Difficile? O irresistibile? C’è una sottile differenza."
"Sottile come il filo che divide il desiderio dalla curiosità, immagino."
"O dalla rovina. Non preoccuparti, tutti si avvicinano prima o poi. Anche quelli che credono di poter guardare senza toccare."
Contemporaneamente alla nostra danza e conversazione, posso sentire le sue mani che sfiorano, anzi toccano il mio collo, la schiena e le natiche. Sento il calore del suo petto contro il mio e lascio che le mie mani restituiscano il contatto, stringendole leggermente il sedere e premendola contro il mio pacco. È straordinariamente deliziosa e sfacciata, il modo in cui si accoccola sensualmente attorno al mio corpo, nella danza bollente.
Dopo che siamo rimasti in piedi e abbiamo ballato insieme per quattro o cinque brani, lei se ne va all'improvviso come è venuta.
“Vado a rinfrescarmi un po’,” dice.

Mi siedo al bar, sorseggiando un cocktail dal colore indefinito, l'illusione di controllo in mano mentre il caos del dopocena si snoda attorno a me. Aspetto. Lei tarda, come una promessa lasciata a mezz’aria, un intermezzo sospeso in cui l’attesa diventa un vortice, e la festa, un’eco lontana che rimbalza tra i tavoli ormai sfollati. I miei colleghi si mescolano al crepuscolo della notte, ridendo senza senso, mentre la musica dal vivo viene inghiottita dalla colonna sonora deprimente di una discoteca mobile: una sequenza di battiti metallici che rimbalzano sulle pareti, trasformando ogni passo in una marcia meccanica verso l'apatia.

Ma poi, eccola lì, all’ingresso. Il suo sguardo mi attraversa come un raggio di luce tra i fumi densi della sala. Mi fissa con quell’occhio indagatore, e il mio stomaco si torce. L’equazione si risolve: la delusione si dissolve. Cammina verso di me con una calma quasi irreale, come se stesse attraversando una dimensione parallela.
“Balliamo ancora?” mi chiede, come se niente fosse successo, come se non ci fosse stata alcuna pausa nel nostro gioco segreto.
Senza pensarci due volte, le prendo la mano, e la pista da ballo ci inghiotte di nuovo, l’aria satura di elettricità e sudore.
Le sue mani si infilano sotto la mia maglietta, le dita esplorano la mia pelle come se cercassero qualcosa che nemmeno io so di avere. Il suo corpo preme contro il mio, e l’erezione non è una scelta, ma una reazione inevitabile, un ingranaggio che si mette in moto nel ritmo serrato della musica. Il tempo non esiste più, siamo solo noi, carne contro carne, e il battito che ci muove è quello di una macchina invisibile.

La conduco verso un tavolo, lontano dagli sguardi, e ci sediamo vicini, cospiratori pronti a scambiare segreti.
Le mie mani scivolano sulla sua coscia, e inizio a baciarla, ma è lei a prendere il controllo, con quella sua velocità tagliente, quel modo di trasformare ogni tocco in un comando. Mi guida la mano tra le sue cosce, attraverso il vestito sento il battito della sua carne contro la mia, umida e calda, e mi rendo conto che qui non c'è niente di normale. Lei non è solo un’altra donna: è una forza della natura, un algoritmo impazzito in un sistema che si sgretola.

Ora tocca a me, o almeno così mi sembra, in quell'istante distorto dove il tempo si frammenta e ogni impulso diventa inevitabile. Un'idea, fulminea e assurda: con una risolutezza quasi meccanica, mi infilo sotto la lunga tovaglia del tavolo. Il mondo fuori diventa un brusio ovattato, mentre mi trovo tra le sue cosce, che si aprono con una naturalezza spiazzante, come porte automatiche in un aeroporto deserto. Niente mutandine, naturalmente. La figa è bagnata, incredibilmente bagnata. La sua umidità mi sorprende, quasi mi aggredisce: i peli pubici unti, le cosce umide, tutto trasuda di un desiderio che non ha più nulla di umano, un liquido primordiale che sembra scorrere da una sorgente ancestrale.
Con movimenti attentamente calibrati, comincio a leccarla. Ma prima che il mio cervello possa registrare il sapore, mi tira su con una risata soffocata, come se avessi inavvertitamente premuto un tasto sbagliato nella macchina.
“Sei così veloce! Avrei dovuto avvisarti.” dice ridendo,
“Avvisarmi di cosa?”
“Eri così ansioso…”
“Ma avvisarmi di cosa?!”
”Ti è piaciuto quello che hai assaggiato?”, ride, ride ancora come una scema, ma c’è qualcosa di strano in quel suono, una nota nascosta, come il cigolio di una porta che non avrei dovuto aprire.
“Beh… Sì… Certo. Un ottimo sapore-”
“Bene. Ma... avrei dovuto avvertirti…Io e mio marito... beh, abbiamo appena fatto sesso.”
Il mio cervello si ferma per una frazione di secondo, come un orologio che perde un battito, e poi riprende. Lei continua, e c’è una freddezza ipnotica nel modo in cui pronuncia le parole.
“Quello che hai assaggiato... beh, non erano solo i miei liquidi vaginali, c’era anche qualcosa di suo…”
Sento la mia bocca muoversi, ma non esce nessun suono.

Suo marito!? Il suo sperma? Che schifo! Non l'avevo previsto! Sono scioccato.
“In realtà vorremmo proporti una cosa a tre nella nostra camera d’albergo.”
“Cosa? Un... un menage à trois?”
“Già, proprio così. Mio marito è seduto laggiù, nell’angolo più lontano.”
“Dove? Ah, sì, vedo quell’uomo... lungo il muro.”
“Sì, lui. È un bell’uomo, vero? E ti sta facendo un sorriso che dice più di mille parole.”
“Non posso credere a quello che sento. È... è tutto così inaspettato. Pensavo solo che... che fossi qui per ballare e divertirti.”
“E invece, siamo qui per una avventura che vogliamo vivere assieme a te. Il tuo destino, forse, ha deciso di giocare una carta speciale stasera.”
“È follemente meravigliosa, questa proposta. Un triangolo: ho fantasticato spesso su qualcosa del genere.”
“Vedi? Quello che hai assaggiato prima... era solo l’antipasto. La vera esperienza è quella che ci aspetta.”
“Ecco perché sei stata via così a lungo e sei stata così... bagnata.”
“La preparazione è parte del gioco. E ora, se sei disposto, c’è un’avventura che ti aspetta.”
Non sono io a decidere. Il mio cazzo palpitante che bussa nei pantaloni decide per me.

Mentre ci avviamo verso la loro camera d’albergo, il panorama dell’oscurità del corridoio e delle luci tremolanti dei neon riflette un universo di scoperte inattese. Chiara e Massimo, due entità enigmatiche nel vasto spazio delle relazioni umane, si rivelano come una coppia dall’indole squisitamente disinibita. Chiara, con il suo sguardo acuto e la sua presenza magnetica, non è solo una figura di desiderio ma un faro luminoso che guida l’attrazione verso di lei. È una donna che naviga tra gli strati di connessione e piacere con la fluidità di un’onda che accarezza la riva.
Massimo, al suo fianco, è un complice consapevole in questa danza di libertà. Non solo accetta, ma sembra quasi gioire nella visione del desiderio degli altri, riflesso negli occhi che bramano la moglie. È come se fosse il custode del loro mondo interiore, un mondo dove le convenzioni sono messe da parte e la gioia di vivere si manifesta nella sua forma più cruda e audace.

Scopro, mentre camminiamo lungo il corridoio imbottito, che questa non è solo una questione di piacere, ma una celebrazione del desiderio umano in tutte le sue manifestazioni. Chiara e Massimo non sono semplicemente una coppia; sono gli architetti di un palcoscenico dove le regole sono reinventate ad ogni passo, e l'invito a partecipare a questo spettacolo è un'offerta che trasforma la realtà in qualcosa di meravigliosamente e inaspettatamente liberatorio.

Quando entriamo nella camera d'albergo, Chiara si siede sul bordo del letto.
"Ora toglietevi i pantaloni e venite da me", dice Chiara, e un secondo dopo siamo entrambi nudi, al suo fianco. Afferra i cazzi, uno per mano, e comincia a massaggiarli e leccarli come ho visto fare in tanti video guardati su internet ma che provo per la prima volta, con metodo e passione, prima uno poi l’altro. Mentre la bocca spompina il membro di suo marito con una mano sega il mio, e viceversa. Con dedizione assoluta.
Guardo il cazzo di Massimo, che è leggermente più corto ma un po' più grosso del mio. È eccitante stare in piedi e guardare Chiara mentre la sua bocca lavora sull’asta luccicante, facendola scivolare avanti e indietro nelle sue fauci.
Prova a prendere entrambi i cazzi in bocca ma deve arrendersi. Invece, lascia che la sua lingua giochi sulle cappelle mentre tiene saldamente i nostri uccelli con le mani.

Dopo aver ricevuto per un periodo indefinito - in quei momenti il tempo ha la strana tendenza a comportarsi come un elastico, si accorcia, si allunga, e si piega su sé stesso - il generoso, amorevole trattamento, Chiara si lascia andare sul letto, all'indietro, come una marionetta a cui hanno tagliato i fili.
"Che ne dici di riprendere da dove avevi interrotto?" mi chiede maliziosa, sollevando il vestito con un gesto da manuale, esponendo la sua figa sudicia, come fosse solo un'altra pratica nel catalogo della serata.
Mi inginocchio sul bordo del letto. Un discepolo? O forse solo un partecipante casuale a un rito? E inizio a lapparla fingendo di non pensare che in quello che lecco ci sia seme maschile. Massimo intanto si sistema dietro di lei, Riprendendo il suo ruolo nel copione: gli infila nuovamente il suo cazzo in bocca.
La lecco, le lecco la vagina e la clitoride con un certo abbandono, ma nella mia testa il pensiero è sempre quello: meno di un’ora prima suo marito aveva riempito quella stessa vulva con sperma, il suo, e ora la mia lingua cerca, con dedizione quasi scientifica, di rintracciare tracce, residui, prove di quel loro amore. Chiara geme, si contorce, un’agitazione fisica che non fa mistero di sé. Io mi perdo nel sapore della sua figa, che risveglia in me una spirale di eccitazione crescente.

"Adesso mi scoperai!" esclama, o forse implora, difficile distinguere quando il desiderio è una forza così primitiva. Mi alzo, non con la fretta di chi deve obbedire a un ordine, ma con la calma che si acquisisce nei momenti di sospensione, e poso il mio cazzo all’entrata della sua vagina, Una cerimonia più che un’azione. Lentamente, troppo lentamente per chi osserva dall'esterno, ma esattamente al ritmo giusto per chi si trova intrappolato nel momento, lascio che il cazzo scivoli dentro, finché non raggiunge il fondo di quel misterioso abisso che sembra un confine tra due mondi. Il corpo di Chiara trema, un sussulto quasi elettrico che percorre la sua spina dorsale come una scossa; chiude gli occhi, dimenticandosi per un istante del contesto, di Massimo, e forse anche di se stessa.

Massimo, in un movimento quasi meccanico, sale sul letto, piazzandosi proprio davanti a me. Inizia a giocare con il suo cazzo, un'azione che ha qualcosa di ritualistico e bizzarro insieme. Guarda il suo attrezzo, poi guarda me, poi guarda ancora il suo cazzo, poi di nuovo me, e io, irresistibilmente attratto, allungo la mano, afferro la radice della sua asta, e nel farlo sento l’intensità, il calore fremente, come un motore appena acceso. Gioco con quel cazzo, sentendo la tensione crescere sotto le mie dita, una qualche forza invisibile che sta solo aspettando di esplodere.

“Voglio vederti succhiare il cazzo di Massimo,” annuncia improvvisamente Chiara.
La sua voce come un interruttore che accende una luce su un pensiero che già vagava nell’aria. È un pensiero condiviso, un’idea che già rimbalzava tra di noi. Come se fosse un’offerta pagana, Massimo si avvicina, portando il suo cazzo proprio davanti al mio viso. Apro la bocca, lasciando che il mi si infili tra le labbra, e il contrasto tra la morbidezza della pelle e la durezza sottostante mi coglie di sorpresa, come se stessi masticando qualcosa che cambia consistenza a ogni morso. La cappella tozza riempie la mia bocca, un nodo in tensione che contiene tutto ciò che non viene detto.
Mentre il mio pene continua a scivolare lentamente dentro la figa bagnata di Chiara, in un movimento che ha perso il senso del tempo, la mia bocca segue lo stesso ritmo, su e giù, su e giù, su e giù sul cazzo di Massimo. C’è sincronia tra i nostri corpi, un meccanismo invisibile che li tiene insieme, in perfetto equilibrio. E’ un intreccio contorto di carne e desiderio, ogni movimento fa parte di un’oscura danza cosmica, sospesa tra l'ordine matematico e il caos del sesso, dove ognuno di noi tre è allo stesso tempo osservatore e parte di un esperimento erotico su cui tutti, o nessuno ha davvero il controllo.
Vedo, e soprattutto sento, che Massimo apprezza il mio trattamento orale, e in quel momento, forse per la prima volta, noto che c'è un certo fascino nel suo sguardo, un piacere voyeuristico nel vedere il mio cazzo affondare nella figa di sua moglie.

Il mondo attorno a me inizia a sfrecciare in una serie di immagini sfocate, spingo e lecco sempre più velocemente. La mia eccitazione è al culmine, il mio cazzo pompa e pulsa, è una creatura indipendente, e ogni fibra del mio corpo è intrappolata in questo ritmo frenetico e incessante. Estatico, lussurioso, prendo avidamente il cazzo di Massimo tra le labbra, risucchiandolo come se fosse l’unica ancora di salvezza in questo mare di dissolutezza. Da qualche parte, sullo sfondo, sento Chiara fare osservazioni incoraggianti, ma le sue parole si disperdono come un’eco lontana; al momento, non mi interessa né di lei né di Massimo, solo di questo momento, questo moto perpetuo.

Massimo geme, la sua voce un grido lontano che si perde nella frenesia, mentre il suo cazzo, duro come una barra di acciaio rovente, riempie completamente la mia bocca. Le mie mani si aggrappano ai suoi fianchi, lo tiro verso di me, trascinandolo in una stretta feroce, e il cazzo affonda fino in gola, riempiendomi fino alla radice, con una violenza che sembra sfidare la logica anatomica. Massimo tenta di ritirarsi, un movimento quasi involontario, ma io lo trattengo, come se fossimo entrambi intrappolati in una forza centrifuga che non ci lascia altra scelta se non seguirla fino in fondo.
"Chiara, amore, ma che cazzo mi sta facendo questo qui?" riesce a dire Massimo tra un gemito e l'altro.
"Lo sta facendo bene, tesoro," risponde Chiara con una calma che sembra surreale, come se stesse semplicemente commentando il tempo. "Non preoccuparti. Goditi il momento."
Massimo, si lascia andare. Un altro strattone, il cazzo di Massimo si contrae con forza. Il suo corpo trema, i suoi movimenti diventano sempre più convulsi, l’orgasmo si dipana lungo tutta la sua meravigliosa figura, irradiandosi attraverso di lui come un’esplosione che risuona in tutto il suo essere. Sento il suo sperma schizzare nella mia bocca, un getto appiccicoso e salato che mi riempie e si mescola con l’aria pesante della stanza. È il sapore quasi rituale di una sostanza vischiosa che sembra contenere tutto ciò che non è stato detto, tutto ciò che è stato pensato.

Il mio corpo, incapace di resistere oltre, si arrende. E vengo travolto anche io, con una serie di contrazioni violente, incontrollabili, che scaricano tutto il mio carico nelle profondità della figa di Chiara, come un'offerta finale all’origine della vita, alla caverna che ci ha partorito e a cui tutti vorremmo tornare. Esplodo e cado sul letto, senza fiato, provato, ogni muscolo svuotato di energia, accanto a Chiara che mi accoglie con un sorriso imbronciato, mentre la stanza attorno a noi sembra tornare alla sua solita, stranamente pacifica immobilità.

"No, davvero: siete due egoisti di cattivo gusto, voi due," dice Chiara, il tono carico di irritazione.
Si siede sul letto, guardando prima me, poi Massimo, come una regina che osserva due sudditi disobbedienti.
"Pensate di potervi divertire tra di voi e dimenticare di me?"
Si sposta leggermente, facendo un gesto con la mano come per indicare che il tempo per scherzare è finito.
"Massimo!" chiama, e il tono è tagliente. "Adesso puoi cominciare a leccarmi, e vediamo se riesci a darmi un po' delle attenzioni che merito!"
Massimo, con un sorriso complice, la guarda per un attimo, poi si inginocchia obbediente sul bordo del letto.
"Sì, signora," dice con un tono ironico ma affettuoso, e senza perdere tempo si mette subito a leccarle la figa, facendo scomparire il viso tra le gambe di sua moglie con un’aria di devozione forzata.
Chiara osserva la scena per un istante, come se stesse valutando il suo lavoro, poi rivolge lo sguardo a me.
"E tu? Mi sembra che tu abbia avuto la tua dose di piacere, non è vero?"
Massimo alza la testa un momento.
"Da quanto tempo non scopavi una donna come lei?" mi chiede ridendo, "È un diluvio quello che hai lasciato qui, amico."
Chiara sbuffa con impazienza, interrompendo quel breve momento di complicità maschile con un tono tagliente.
"Adesso basta con le chiacchiere. Leccami, e infilami qualche dito mentre lo fai," ordina, la voce ora decisa, autoritaria. Si sposta leggermente sul letto, allargando le gambe per dargli accesso.
Massimo riprende il suo lavoro senza fiatare, ma Chiara non sembra del tutto soddisfatta.
"Non pensare di cavartela così facilmente," continua, poi, guardandoci entrambi con un sorriso misto a irritazione. "Vi ho lasciati divertire, ma ora è il mio turno. E credetemi, voglio il vostro impegno. Tutto il vostro impegno."
Le sue parole cadono pesanti nell’aria, un richiamo a quello che, in fondo, è sempre stato il vero fulcro del gioco: la sua soddisfazione, il suo piacere. La regina non si accontenta mai di essere una semplice parte della scacchiera, vuole essere il pezzo più importante, e ora ce lo sta ricordando chiaramente. Massimo accelera i movimenti, infilando finalmente le dita come richiesto, mentre io non posso che osservare, colpito dall’intensità con cui Chiara reclama la sua parte.

Mentre Massimo si dedica con la precisione di un tecnico specializzato a leccare e manipolare la figa di Chiara, io mi sdraio, lasciando che il sapore dello sperma dell’uomo persista nella mia bocca con un retrogusto metallico, una specie di reliquia dell’atto appena consumato. Osservo la sublime scena come se fosse una rappresentazione teatrale: il corpo di Chiara, splendente sotto la luce soffusa, è un'opera d’arte, tesa tra il desiderio e l’estasi. Le mie mani, quasi per istinto, si muovono su di lei, massaggiando la sua pelle liscia, scivolando sui suoi seni tesi e perfetti.
Chiara, adesso, sembra finalmente soddisfatta, o almeno in procinto di esserlo, mentre il ritmo incessante di Massimo diventa più preciso, seguendo una partitura segreta imparata da anni di cunnilingus alla moglie. Le dita di Massimo, nel frattempo, sembrano operare con una coordinazione che sfida la fisica ordinaria, e i risultati non tardano a manifestarsi: il respiro di Chiara accelera, diventa più corto, più spezzato. Il suo corpo si tende, inarcandosi come un arco pronto a scoccare una freccia invisibile, e all'improvviso afferra Massimo, schiacciandogli la testa contro la sua figa con una forza che sembra nascere da un potere più grande. È come se, per un istante, la gravità stessa si fosse alterata, e tutto fosse attratto verso quel centro di piacere, una forza che non si può fermare né contrastare.
L’orgasmo arriva come un’esplosione silenziosa, irradiandosi lungo la sua spina dorsale in una serie di tremori sussultori che si diffondono come onde su un lago calmo. Chiara si contorce, non più padrona del proprio corpo, immersa in un piacere che la governa completamente. Geme, ma non è più una voce umana; è qualcosa di più primordiale, qualcosa che si potrebbe ascoltare nelle profondità di un'antica foresta o nell’eco di un cratere lunare. Tutto sembra dissolversi attorno a noi, e il suo piacere diventa l'unico dato certo di questo istante che ha superato i confini di ogni mia logica.

"Cazzo, è stato fantastico," dice Massimo, pulendosi la bocca con il dorso della mano, come se avesse appena finito un lavoro sporco in qualche oscuro cantiere.
Si gira verso di me con un sorriso.
"La sua figa stava per divorarmi le dita," ride, agitando la mano bagnata dai succhi di sua moglie.
Chiara, ancora sdraiata sul letto, il respiro affannoso e irregolare, sorride debolmente, visibilmente esausta.
"Ummm... è stato davvero bello," mormora, quasi tra sé e sé, come se parlasse alla stanza più che a noi. Giace lì senza fiato, i capelli sparsi sul cuscino come fili d'oro, il suo corpo che si alza e si abbassa in piccoli tremiti post-orgasmici.
Io, nel frattempo, lascio che la mia mano le accarezzi dolcemente la parte superiore del corpo, percorrendo la sua pelle liscia come un cartografo alla scoperta di un nuovo territorio. Il suo petto si solleva sotto il mio tocco, e mi perdo per un istante nella vista della sua bellezza, che brilla sotto la luce soffusa della stanza.
Senza nemmeno accorgermene, la mano libera inizia a muoversi da sola, scivolando giù per il mio corpo fino al mio cazzo, che, come un soldato richiamato al dovere, si sta risvegliando di nuovo, duro e pronto all'azione.
Chiara apre gli occhi appena e mi osserva, con un sorriso complice che si allarga lentamente sulle sue labbra. Con una mossa languida, mi stringe delicatamente il cazzo, come se fosse un gesto affettuoso, ma allo stesso tempo deciso.
"Questo dovrai farlo da solo," mi dice ridendo. "Sono completamente esaurita per stasera…"
C’è un momento di silenzio tra noi, rotto solo dal suono di Massimo che versa lo champagne in tre bicchieri alti e sottili, con la precisione meticolosa di un alchimista intento a creare una pozione magica.
"Vieni qui a farti un bicchiere," dice Massimo.
Ci sediamo insieme sul bordo del letto, Chiara ancora distesa, adesso con la testa sollevata, e ci guarda con occhi sognanti mentre sorseggiamo lo champagne. Le bollicine scoppiano sulla lingua, una sensazione piacevolmente effimera che sembra in qualche modo in contrasto con l’intensità della serata.
"Sai," dico dopo un sorso, guardando il liquido dorato nel mio bicchiere, "penso che sia stata una bellissima esperienza incontrarvi."
È una di quelle frasi che potrebbero sembrare generiche, ma nella nostra strana alchimia ha un peso particolare, come se ci fosse un sottotesto che nessuno di noi sta dicendo apertamente.
"Anche noi lo pensiamo," risponde Chiara, facendo scivolare la mano su quella di Massimo, che le sorride di rimando.
Continuiamo a parlare, chiacchiere leggere che passano dal sesso all'arte del piacere, alle differenze sottili ma importanti tra scioltezza e solidità, un tema che sembra così irrilevante eppure in qualche modo perfettamente in sintonia con l’assurdità del momento. Ogni tanto, qualcuno butta lì una battuta o un'osservazione un po’ fuori luogo, ma ci ridiamo tutti sopra, sapendo che non c’è bisogno di prendere nulla troppo sul serio. Tutto ciò che conta è questo istante, sospeso in una bolla di bollicine e confidenze.
Dopo circa mezz'ora, mi alzo, lasciando che l'atmosfera rilassata si diffonda attorno a noi.
"Grazie per stasera," dico, sorridendo, e davvero lo penso.
Non è solo una formula di cortesia, ma un ringraziamento sincero per qualcosa che ha superato i confini della semplice fisicità. C’è qualcosa di quasi magico in quello che abbiamo condiviso, un piccolo universo in cui le regole sono state riscritte per qualche ora.
Ci salutiamo con abbracci e sorrisi, e mentre esco dalla stanza, c’è una strana sensazione di completezza, come se, per un momento, avessimo raggiunto una sorta di equilibrio precario ma perfetto.

Una volta solo, nella penombra della mia camera d'albergo, il silenzio è spezzato solo dal ronzio lontano del condizionatore, una nota meccanica che fa da sottofondo al caos dentro di me. La mano si muove da sola, gioca col mio cazzo come guidata da una memoria muscolare che non richiede ordini, e nel buio riaffiorava frammenti: Chiara, il suo corpo intriso di sudore e e la sua figa piena di sperma, che le cosce stringevano come una trappola dorata. Massimo, con il suo cazzo corto e grassoccio, con le vene chiare, come una pistola carica pronta a esplodere.
Il sapore salato dello sperma mi risuonano in bocca, le immagini si accavallano, distorte, e mentre il mio corpo si arrende a quei movimenti, un fiotto violento di sborra, quasi esistenziale, scuote la mia carne.
Improvvisamente, tutto rallenta. La stanchezza scende su di me come una cappa di nebbia tossica, assorbendo ogni dettaglio, ogni eco, fino a che non c’è più niente. Solo il buio, e il sonno.


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